Montechiaro nel suo abitato

 

 

 

 

 

 

Annibale Brosio

MONTECHIARO NEL SUO ABITATO

 

Prefazione

MILLENOVECENTOSESSANTUNO. L’Italia parve obliare l’ascesa al consumismo, lo scialo del benessere, il brago del materialismo. Una folata di vento benefico, olezzante di puro patriottismo, la percorse dall’Alpi al Lilibeo e, nella celebrazione del secolo di sua Unità ed indipendenza nazionale, ritrovò i valori aviti, che parevano essersi dispersi nella frenesia del traffico motorizzato. Ogni particella del suo sacro suolo, vivificata dall’alito generatore, pullulò germogli fecondi di iniziative atte a dare allo storico evento lustro e risonanza.
MONTECHIARO non volle essere assente dall’onorevole agone.
Eccitato dal freddo entusiasmo del giovane sindaco, sorretto dalla valida cooperazione della attiva assessora al comune, spinto dal desiderio di dare qualche cosa di me al mio amato paese, mi accinsi al gradito compito di dirne le glorie antiche, di far menzione de’ suoi figli illustri, di dare particolare segnalazione agli usi ai costumi ed alle sue moderne attività.
Per le feste settembrine dell’anno fatidico, fra lo sfoggio delle manifestazioni folcloristiche, in mezzo ai gorgheggi delle cantanti al microfono del padiglione danzatorio, nella briosa presenza del filosofo       pione d’indovinata rubrica televisiva “MONTECHIARO D’ASTI”, nella veste colorata del verde de’ suoi “TRE COLLI” spiccanti nello stemma coronato della copertina, apparve quasi inavvertito.
I mille esemplari, che con cura amorosa ed intensa d’una ventina di giorni, ero riuscito ad esibire alla compiacenza de’ miei concittadini, sono ora esauriti, per la maggior parte offerti in omaggio alla conoscenza dei simpatizzanti.
Avrei voluto curarne una riedizione, ma il disastroso successo finanziario della prima me ne dissuade.
Scrivo per te, amato luogo nativo, questo “MONTECHIARO NEL SUO ABITATO”  con l’affetto di sempre e con l’ardore che l’algida vecchiaia non riesce a spegnere. Percorro le tue strade non violate dal cemento innovatore  ma nel chiuso dei muri scalcinati fioriti di bianco salnitro e grigi di friabili mattoni cotti al sole. Per secoli han sfidato inverni gelidi e cupi, primavere piovose e scapigliate, estati brucianti ed imbronciate, autunni incostanti e capricciosi. Tu, stretto nella cerchia delle tue mura, non mai avesti l’aria arcigna e tetra della rabbiosa offesa né della cocciuta difesa, apportatrici di rovine e morte. Con le case aggruppate le une alle altre attorno alle chiese sante apparisti sempre qual gregge evangelico e soave raccolto nell’unione e nella concordia. “SI SOLA FIRMA” è il tuo motto e tu, forte di quella unione compatta da essere ridotta ad unica e sola, arrivasti ad allietare la mia infanzia, a forgiare la mia fierezza d’esserti figlio, ad imprimermi in cuore quel sentimento d’affetto che nessun evento ha saputo calmare.
Come allora io ti vedo e ti rivivo.
E se tu, nella materialità di tua assenza, sei costretto all’insensibilità, sentano i tuoi novelli figli com’eri allora.
Nella riviviscenza di tipi, nella ricostruzione di episodi, nella dizione di modi d’essere è la esplosione di quei sentimenti che affido la nuova generazione: non a modello né ad esempio, ma per un giudizio parziale e sereno.
Eri migliore? Eri peggiore?
Solamente dalla conoscenza di quello che fosti sappiano i giovani amarti in misura migliore e maggiore di quanto abbiamo saputo fare noi.
OGGI PIU’ DI IERI, MENO DI DOMANI!

Torino – Autunno 1973 – Inverno 1974 –

Annibale Brosio

 

 

 

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MONTECHIARO NEL SUO ABITATO

MONTECHIARO, il “VECCHIO GUSCIO”  di Roberto Sacchetti e mio, sta scomparendo per la sua vecchiezza travolto inesorabilmente dal giovanile spirito di rinnovamento e di modernità.
Se non è possibile arrestare questo processo imposto dall’impeto del progresso e dalla necessità di adeguamento ai tempi ed ai novelli gusti, siami concesso frapporre il nostalgico ricordo del passato alla continuità di esso.
Mi tengono a mano il fantasioso letterato che del  “TRINO MONTE” è stato l’appassionato figlio e di sua gente l’insuperabile narratore ed il Santo Sacerdote che, fattosi cittadino primario nella cura della parrocchia affidatagli, ha con scritti e pubblicazioni varie alzato un velo dalla storia montechiarese per l’amore e l’orgoglio dei cittadini.
Se noi proveniamo al magnifico luogo da mezzogiorno per la strada nazionale Asti – Chiasso e ci avviamo su per la salita verso l’abitato ci troviamo di fronte il paese “come un gran C adagiato, disteso sul dorso di una collina semicircolare con le punte rivolte a noi;” (Roberto Sacchetti: UNA FESTA da BALLO)
Si perviene nel concentrico per una ripida rampa d’accesso che va a posarsi in piano sull’area del Giuoco del Pallone per svoltare, dopo pochi metri d’un trivio accidentato, ad angolo acuto verso la Piazza con un’arrancata pedonale di breve tratto. A quella si giunge “passando sotto un voltone sormontato da un torrazzo quadrato, che una volta doveva essere la vedetta della cittadella e che adesso serve solo a sostenere un vecchio parafulmine arrugginito, il quale, a sua volta, non serve più a nulla. (idem)

 

LA PIAZZA
Come per la “Serenissima” la più celebre del mondo di S. Marco, così per Montechiaro, è solamente la Piazza. Dopo il regicidio di Monza del 1900 venne intitolata ad Umberto I, ma, credo, che nessun montechiarese non l’abbia mai così denominata.
Era stata, senza alcun dubbio, il cortile del Castello di Mairano all’epoca gloriosa del Comune medioevale, retto dal suo Doge (Duso). Montechiaro “non era mai stato feudo del Castello, ma, all’incontro, questo era vassallo del Comune.” (idem)
La Piazza si presenta delimitata a ponente dalla Chiesa parrocchiale di S. Bartolomeo che, ovviamente, nel passato non ebbe la forma attuale né le attuali proporzioni. “Sulla Piazza attuale era il cimitero di appena 36 mq, chiuso da una sola parte e aperto da due. Vicino alla chiesa e solo separate da una “redana” (rian) erano alcune case, occupanti anch’esse una parte del sito… (Bo don Luigi: BREVI NOTIZIE STORICHE).
L’autorizzazione al trasporto del cimitero, l’abbattimento delle case e la sistemazione dell’area nelle condizioni attuali avvennero attorno al 1740.
A mezzanotte, nel punto della passata sporgenza del maniero di Mairano, vi sono in unico blocco la Casa Comunale e la casa ex Salussoglia, basata sulle possenti mura della cinta fortificatoria e sovrastate, nella parte orientale, dal “Torrazzo” sacchettiano (la Tor forato, a sua volta, dal “Voltone” (‘l Porton).
Sulla facciata della casa comunale è “posto lo stemma del Comune, tre mammelle rosse con la leggenda Si Sola Firma. Le mammelle sono il TRINO MONTE sul quale è posto il paese.” (R. Sacchetti: Una festa da Ballo). Lo stemma, rifatto in stile moderno, non ha più mammelle per monti ed è di color ocra. [...]